La Falena – 2° spin-off de L’Undicesimo Giorno della Falena

“Mamma guarda, quella farfallina sta cercando di uscire dalla finestra”. Paola e sua madre erano appena arrivate nella sala d’aspetto, dopo aver attraversato i grandi corridoi di quell’ospedale che avevano visitato nell’ultimo mese diverse volte.

La madre si voltò, seguendo con lo sguardo il punto dove stava indicando sua figlia e rimase a fissare per qualche istante quella piccola creatura notturna. “Deve essere rimasta chiusa qui dentro da ieri notte e ora cerca di scappare via prima che faccia buio. Lo sai? Le falene sono attratte dalle fonti luminose. Questo fenomeno si chiama fototassi e provoca una vera e propria attrazione per la luce”. La bambina era rimasta imbambolata dal percorso sempre identico della farfalla mentre sua madre la faceva sedere facendo attenzione che non sbattesse la gamba ingessata sul sedile. “Vedrai che oggi lo togliamo questo fastidiosissimo gesso”. 

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Marilena – 1° spin-off de L’Undicesimo Giorno della Falena

Il dottore la lasciò sola davanti allo studio del Primario, chiedendole di pazientare un attimo mentre andava a prendere gli ultimi sui referti appena arrivati. La testa le sembrava così pesante che non riusciva a rendersi veramente conto di quello che le stava succedendo, proprio a lei. Non aveva neanche fatto in tempo a realizzare che la sua amica non fosse più nel suo letto di ospedale. “Si saranno sbagliati, o comunque non sarà così grave me lo sento. Ne ho viste talmente tante qui dentro, non può accadere proprio a me”. Il gruppo di ragazzi che aveva lasciato alle sue spalle si stava lentamente diradando. Un piccolo gruppetto si era spostato poco distante e così si mise ad osservarli. Sembravano quattro manichini poggiati gli uni agli altri. Non parlavamo e guardavano in terra. Due si erano abbracciati ed erano rimasti così, immobili. Un casco poggiato in terra, le giacche allacciate in vita. Avevano tutti le stesse scarpe, quelle così basse da far venire il mal di schiena. Al pensiero Marilena si stiracchiò sentendo i risultati di una mattinata passata in piedi.
Il giovane oncologo stava ritornando con in mano un fascicolo che avrebbe raccontato una parte della sua storia nascosta fino a quel momento. Si avvicinò ai ragazzi, poggiando la mano sulla spalla del ragazzo più alto. Gli disse qualcosa sottovoce e tutti e quattro ripresero a muoversi, come se qualcuno avesse premuto un pulsante segreto. Lo ringraziarono e salutandolo si avviarono lentamente verso l’uscita. Una di loro raccolse il casco da terra facendolo ricadere su se stesso. Quel rumore secco fece girare tutti lungo il corridoio, riportando immediatamente a quel silenzio assordante che troppo spesso riempie le sale degli ospedali. Il ragazzo alto tornò indietro e raccolse il casco, la prese per mano guidandola verso l’uscita, come si fa con qualcuno che non vede o che non ha voglia di vivere.
Storie di dolore che segnano.
Storie di vita che cambiano la traiettoria che pensavamo fosse quella intrapresa dalla nostra esistenza e che poi, di punto in bianco, girano su se stesse per dare una piega completamente diversa, impensabile fino a quel secondo prima.
Marilena mentre il dottore le si avvicinava, stava pensando proprio a questo, a come fino a un’ora prima stava pensando alle vacanze, ai nipoti, al figlio, al minestrone lasciato a scongelare sul lavello, pronto a essere cucinato appena tornata a casa.
“Mari vieni, il primario ci sta aspettando, qui ho tutti i risultati. Hai chiamato tuo figlio?”. Lei gli fece cenno di sì, non tanto sicura della risposta che stava dando: “Il minestrone è per mio figlio, glielo porto appena è pronto, ancora caldo” disse di rimando, sentendosi sciocca nel aver condiviso un suo pensiero così quotidiano in un momento così fuori dal mondo.
Lui sorrise e le cinse le spalle mentre l’accompagnava in quella stanza. Da quel momento sarebbe cambiato tutto, o forse era solo l’epilogo di una storia sconosciuta che da tempo correva dentro di lei senza che nessuno le avesse chiesto il permesso per farlo.
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Sono stanca, il respiro comincia a mancare. Cerco di riempirmi i polmoni il più possibile. Lui è qui con me, mi tiene la mano, è sempre stato qui vicino lo sento, non posso crollare proprio ora. Devo farlo per lui. Per questa mano che per me è sempre quella piccola e morbida manina di quando ero piccola e riuscivo ad avvolgerla con la mia. Ti proteggerò per sempre. Per sempre? Ho sonno ma non devo lasciare la stretta della sua mano, ma sento che sto perdendo le forze. Respiro piano, in finale va bene anche così. Ma respiro sempre più lentamente, potrei contare quanto passa da un respiro all’altro se non fossi così stanca.
Qualcuno sta piangendo in questa stanza. È mia sorella. Non riesco a capire dove mi trovo, ma non conta poi tanto. Loro ci sono e questo è l’unico pensiero positivo che posso avere.
Prendo una grande boccata d’aria, sento il respiro attraversare la bocca, la lingua, ma poi si ferma in gola. Non sento più la sua mano. Non sento più la sua mano, non sento la stanchezza.
Il silenzio.
Ne ho viste tante di storie così. Famiglie distrutte dal dolore che segue l’ultimo respiro della persona cara, dinamiche sempre simili tra loro. La fine è uguale per tutti, tranne quando capita a te.
Ho paura.
Mi trovo nelle vie del mio quartiere come se non fosse successo niente. Mi guardo addosso e mi torna il sorriso nel vedere che ho in dosso i miei vestiti preferiti: i pantaloncini chiari che mettevo sempre in vacanza e la maglia a righe bianche e rosa. La mia nipotina la adorava. Sto già cominciando a parlare al passato eppure sono qui. Si scorderà presto di me? Per quanto tempo penserà alla mia voce? Mi prende un attacco di panico, non pensavo potesse accadere anche dopo la morte, eppure mi sale sempre più forte, quel senso terribile di gola chiusa, sto di nuovo per soffocare. Mi scorre davanti tutta la vita, ma solo le parti belle, eppure questa forte paura non passa e mi sembra di stare per esplodere. Mi ritrovo a Via Rubicone. Piazza Mincio, poi Via Po, Via Clitunno e ancora Via Rubicone. Via Salaria, Via Arno, Via Po, per un attimo in ogni posto. Solo un istante. Via Po, Via Salaria, Piazza Verbano, Via Tagliamento, Via Pinciana.
Silenzio.
Villa Borghese. Ho gli occhi chiusi e la serenità che respiro finalmente mi riempie i polmoni. Si sentono i pappagalli in lontananza e qualche passerotto che cinguetta in terra in cerca di qualcosa da mangiare.
Il vento con la sua cadenza ritmata fa muovere le foglie e il fruscio muove la luce davanti ai miei occhi. Mi guardo intorno, sembra una scena surreale. Il sole sembra essere alto nel cielo ma non c’è nessuno. Non vedo i bambini correre tra i loro schiamazzi, nessuno che corre o che si allena. Non ci sono gli ambulanti che vendono le bibite e nessuno pronto ad affittare biciclette e risciò. Mi muovo nella penombra dei viali alberati, guardo il cielo che si specchia nelle fontane sotto gli zoccoli delle statue con i cavalli imponenti ed eterni. La città sembra deserta, non si sentono le macchine in lontananza, un clacson, niente.
Ho sempre amato questa grande metropoli con i suoi colori, i suoni, il caos della gente per le strade, i mercati affollati, il fresco estivo della sera. Eppure in questo momento sono felice di non sentire niente tutto intorno a me. È proprio quando comincio a non trovare poi cosi strano tutto quel silenzio, che vedo in lontananza una persona seduta su una panchina. Mi fissa da lontano, con le mani ferme sulle ginocchia. Man mano che mi avvicino la vedo sempre meglio e lei non smette di fissarmi. È una donna con una gonna a pieghe e un dolcevita nero fermato sul collo da una spilla verde, o così mi sembra da lontano. Sembra stia aspettando qualcuno,. Continuo ad andarle in contro. Ha i capelli ricci e biondi e lo smalto rosso sulle mani che luccicano quando il sole si specchia nei suoi anelli. Sono a pochi metri da lei e ora i nostri sguardi si sono intrecciati. Lei sorride.
Mi sembra di averla già vista prima, eppure c’è qualcosa che stona in lei e che non mi rende facile il ricordo. Si porta le mani sul volto e comincia a ridere:
“Non mi riconosci? Eppure non è così tanto tempo che non ci vediamo purtroppo. Avevo detto che sarei voluta venire qui insieme a te, ma speravo che sarebbe successo molto più avanti nel tempo, almeno per te”.
Solo in quel momento la riconosco ed è così che mi siedo al suo fianco e l’abbraccio lasciandomi cadere in un pianto rivelatore: “Mari, non ci posso credere, cosa sta succedendo?”. L’ansia ricomincia a prendere il sopravvento e quando mi stringe la mano mi rendo conto di non sentire alcun contatto e lascio immediatamente la presa alzandomi di scatto.
“Non è facile accettare quello che ci sta succedendo, ci sono passata prima di te e per quanto ci fossimo rese conto entrambe che la vita stesse per finire, non è mai un passo così scontato quello di vivere nella morte”.
Marilena, fa parte dei 6 capitoli aggiuntivi pubblicati come Spin-off del Romanzo l’Undicesimo giorno della Falena uno al mese a partire dal mese di Aprile 2022. La pubblicazione sarà gratuita su tutti i social dell’Autrice e della Casa Editrice La Ragnatela Editore.
Il romanzo in versione digitale e cartaceo potrà essere acquistato su Amazon e nelle migliori librerie italiane.
Come annunciato ecco a voi il primo Spin-off del Romanzo L’Undicesimo giorno della Falena. Da qui a ottobre ne usciranno 6